di Remo Restagno e Marco Baliani tratto da Michael Kohlhaas di Heinrich von Kleist
Con Marco Baliani
Produzione: Casa degli Alfieri
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Ci fu chi a lungo attinse alle fonti del passato per i propri romanzi, esaltando o degradando sovente le vite di illustri personaggi – due capolavori al volo, La Reine Margot di Dumas padre e le Chroniques italiennes di Stendhal. Ancor prima, Heinrich von Kleist, rifiutando sovrani e nobiltà, immortalò in Michael Kohlhaas l’impresa disperata d’un mercante del Cinquecento. Partendo dai fatti narrati nella cronaca coeva di Peter Haffitz, l’“uomo inesprimibile” Kleist coglie l’occasione per mettere nero su bianco un tema d’atavica attualità: fino a che punto può spingersi l’iniziativa personale contro il sopruso del più forte? Siamo davvero tutti uguali davanti alla legge? Se a me, Michael Kohlhaas, sottraggono due morellini, gli esemplari migliori dell’allevamento, mi è lecito mettere a ferro e a fuoco l’intera Sassonia pur di ottenere giustizia? Scriveva Max Kommerell che “eroe è in Kleist colui che è condannato a se stesso”, poiché alla fine si è davanti a una rigorosa fedeltà all’Io portata in guerra col mondo intero. Sussistono, è vero, cedimenti dell’animo davanti alla tanta distruzione che l’esercito di Kohlhaas infligge, ma sono mancamenti fulminei perché solo il desiderio di vendetta trova posto nel suo cuore. Innanzi a quest’uomo deciso, prima vittima poi carnefice, non si può che provare compassione ed estremo rispetto, così anelante a una condivisibile equità che nessuno potrà garantire.
Lo spettacolo, nato dalla collaborazione tra Remo Restagno e Marco Baliani nel lontano 1989, giunge alla sua 1045esima replica, rimanendo pietra miliare del teatro di narrazione. Originariamente dedicato ai giusti del ’68 che divennero poi giustizieri, Restagno e Baliani riscrivono il testo adattandolo all’esigenze dell’attore. Baliani, nerovestito, emerge dal buio quale fantasma che illumina la nostra notte e ci rapisce trasportandoci nella Germania del ‘500. Ci trasforma egli più in ascoltatori che spettatori, costruendo nella nostra mente l’intero racconto e rinnovando la funzione comunitaria del rito teatrale. Con gesti sempre studiati e incisivi, mai smodati, entra nei personaggi e ne restituisce i contrastanti sentimenti, quale aedo antico o cantastorie. Seduto su una sedia nera per circa novanta minuti, Baliani cavalca, nitrisce, sputa, galoppa, piange, si dispera, adottando una recitazione così corporale ed epica da lasciarci incantati.
Applausi sentiti e ripetuti da parte del pubblico, zeppo di teatranti, docenti e studenti universitari.